sabato 8 settembre 2018

Medea: Colpevole o Vittima - Tesina di Benedetta Bichi - Prefazione di Fiorella Fiorenzoni




Μδεια
 
Una delle figure femminili della mitologia greca che più hanno colpito l’interesse e l’immaginario di numerosissimi autori, dalla letteratura alla musica, alla danza, interessando anche i campi della pittura, della scultura oltre che del cinema, del teatro e della televisione, è senza dubbio quella di Medea (Μδεια), figlia di Eeta, re della Colchide, e di Idia. Indicata anche come nipote di Elio e della maga Circe, nell’Argonautica di Apollodoro, a Medea erano stati attribuiti, al pari di quest'ultima, dei poteri magici.
Nel corso dei millenni questo personaggio ha avuto un ruolo speciale, a partire dall’interpretazione di Euripide fino alle versioni contemporanee,  in particolare quella della scrittrice tedesca Christa Wolf che nel suo romanzo, “Medea. Stimmen” del 1996 (Medea. Voci), dissente dalla versione della tragedia di Euripide, l’infanticidio, ripreso anche da Grillparzer, Alvaro e Pasolini, presentandoci invece un’eroina portatrice di verità, una donna forte, che rifiuta ogni sopraffazione e, con coraggio, porta alla luce il terribile segreto che si cela tra le mura del palazzo di Corinto.
Benedetta Bichi ci presenta in questa sua tesi una Medea che, attraverso il corso del tempo, da rea, ossia colpevole d'infanticidio, viene reinterpretata come capro espiatorio, vittima di una società patriarcale.
Fiorella Fiorenzoni




 


BENEDETTA BICHI
CLASSE 5° C
A.S. 2017-2018
Liceo Classico F. Petrarca
Arezzo
 

MEDEA: COLPEVOLE O VITTIMA





INDICE:

INTRODUZIONE

MEDEA DI EURIPIDE

MEDEA DI SENECA

SONS AND LOVERS

LA LUNGA NOTTE DI MEDEA INNAMORATA

MEDEA“ PORTATRICE DI CONSIGLI “



INTRODUZIONE

Medea, una donna che rappresenta in parte il perfetto connubio tra Helios ed Ecate,
dea dell’oltretomba e della scienza dei filtri magici, ma dall’altra anche il simbolo
dell’inconciliabilità fra logos e fusis, ratio e furor, Apollineo e Dionisiaco, Occidente e
Oriente.
Tutti gli autori, a partire da Euripide fino alla contemporanea Christa Wolf (1929-2011),
pur nelle diverse versioni, si servono dell’eroina per rappresentare questo
contrasto sempre presente nell’uomo impaurito ed incapace di accettare il non senso
della vita.

 
 
MEDEA DI EURIPIDE



Eugène Delacroix: Q16011494

 
 
“Nel corso dei millenni la figura di Medea è stata ribaltata nel suo opposto da un
bisogno patriarcale di denigrare lo specifico femminile. Ma qualcosa non mi tornava:
Medea non poteva essere un’infanticida perché una donna proveniente da una
cultura matriarcale non avrebbe mai ucciso i figli. In seguito rintracciai con la
collaborazione di grandi studiose le fonti antecedenti a Euripide che confermavano il
mio assunto di fondo. Fu un fenomeno straordinario.” Christa Wolf, dopo numerosi
studi e ricerche, dà alla luce una Medea imprigionata dall’ androcrazia e tenuta
nascosta fino ai nostri giorni.

Infatti ognuno di noi quando sente il nome Medea, pensa a quella donna
protagonista della omonima tragedia di Euripide, messa in scena nel 431 a.C. davanti
a un pubblico sconcertato dal suo messaggio rivoluzionario.
Euripide fa parte di quella triade canonica della tragedia, individuata dagli studiosi
della biblioteca di Alessandria della quale fanno parte anche Eschilo e Sofocle. La
leggenda lega i tre tragediografi a una data: 480 a.C. anno della battaglia di
Salamina, che segna l’inizio dell’egemonia ateniese in tutto il mondo greco. Secondo
questa leggenda Eschilo avrebbe partecipato agli eventi bellici come soldato, Sofocle
avrebbe guidato il coro di giovani che intonavano il poeana di ringraziamento della
vittoria e, infine, Euripide sarebbe nato lo stesso giorno. Non è un caso che questa
triade sia legata all’evento che determinò la supremazia ateniese sul mondo greco.
Gli studiosi alessandrini individuano questi tre personaggi perché in tutte le loro
tragedie (sebbene assai differenti tra di loro) Atene assume sempre la figura di
protagonista che viene in soccorso ai più deboli oltraggiati dall’ingiustizia e dalla
prepotenza dei più forti.
Nella Medea euripidea, ai versi 663, Atene assume le sembianze di Egeo, re della
città stessa.
Questi si era recato a Delfi per consultare l’oracolo al fine di trovare un rimedio al
suo problema, quello di non riuscire ad avere figli; sulla via del ritorno incontra
Medea. La protagonista confida al re che sta architettando una vendetta nei
confronti di Giasone e Creonte, poiché le era stato ordinato di lasciare entro un
giorno Corinto per non diventare un pericolo per la città stessa e un ostacolo
all’ambizione di Giasone, che poteva assumere il potere della città solo attraverso
un contratto matrimoniale con la figlia di Creonte, Glauce, e il conseguente ripudio
della sua donna barbara, Medea appunto. L’ospitalità che Egeo offre a Medea si
presenta come una vera e propria propaganda di un’Atene paladina della libertà,
pronta a dare una nuova vita e dimora alla debole donna e ai suoi figli, una volta
ottenuta la vendetta contro gli avversari. Ma, paradossalmente, Medea, vendicatasi
attraverso l’omicidio di Glauce e dei suoi stessi figli, non cerca rifugio ad Atene, ma
scappa da Corinto sopra il carro di Helios. Ai nostri occhi e a quelli del pubblico
ateniese l’entrata in scena di Egeo sembra dunque un evento “andato a vuoto” .
Walter Lapini, in Persecuzione e rivincita nelle eroine del teatro greco, nega questa
prima impressione che lascia a bocca aperta lo spettatore, affermando: “dopo aver
ucciso i suoi figli l’eroina perde ipso facto la generosa e potente protezione, ma
adesso di tale protezione ella non ha più alcun bisogno: la demoniaca e sovrumana
solitudine che ha acquistato in seguito a questo atto sanguinario la mette al di fuori
e al di sopra della necessità di essere protetta.”
 
Una donna dunque, Medea, preda del thumos, divisa tra il desiderio di vendetta e
l’amore per i figli. Non a caso Albin Lesky (grecista austriaco), parlerà di Euripide
come il primo che ha messo a nudo l’animo umano, sede di forze opposte e tra di
esse tragicamente inconciliabili.
D’altro canto impossibile appare la scelta di una Medea tanto violenta e così
dominata dalla hybris da uccidere i propri figli. L’eroina è del resto famosa per
essere la ingenua fanciulla del mito degli Argonauti, proveniente da una società
matriarcale, che innamorata tradisce e abbandona la patria per condurre una nuova
vita insieme a Giasone. Il saggista, Robert Graves, ricorda un antefatto emerso dalla
storiografia antica: sembra che Euripide avesse manipolato la vicenda per assolvere
gli abitanti di Corinto, che nel mito originale sono colpevoli del massacro dei figli di
Medea. Inoltre per presentare al meglio Corinto sulla scena tragica delle Grandi
Dionisie sembra che gli furono versati quindici talenti d’argento; fece così di Medea
una donna infanticida, un’eroina negativa, carattere che verrà ripreso in opere
postume, fino all’età contemporanea.
 
La grandezza e la rivoluzione di Medea stanno in un semplice interrogativo, che ella
si pone di fronte alle scelte che le circostanze della vita le presentano: “ti draso;”.
Può sembrare un banale interrogativo, ma da qui in poi la tragedia raggiunge la sua
akmè, poiché la donna, pronta a farsi giustizia, proprio nel momento in cui sta
compiendo il suo ultimo atto vendicativo, il figlicidio, con lo scopo di lasciare
Giasone solo senza più una donna e i suoi figli (il male più grande che potesse
capitare a ogni uomo) viene assalita da altre alternative, bouleumata, che
prevedono di lasciare in vita i figli innocenti. Le alternative a questo tragico esito non
vengono proposte da una persona o da una divinità, non provengono cioè
dall’esterno, ma è proprio il suo istinto di madre che in questo momento subisce e
ostacola l’atroce vendetta. Questo aspetto è accuratamente analizzato da Eric R.
Doods (grecista inglese) e considerato come atto esplicito di rottura e ripudio della
filosofia socratica dell’Atene del V sec. Infatti, come si può vedere nell’ Edipo re di
Sofocle, influenzato dal pensiero socratico, il protagonista compie
inconsapevolmente il male, uccidendo suo padre, poiché manipolato dall’azione di
un daimon, cioè il demone creato dalla colpa inespiata. Euripide per l’ultima e
tragica parte della sua Medea sceglie la tecnica del monologo interiore, unico modo
per lasciare la donna sola con le sue contrastanti passioni senza alcun intervento del
mondo demoniaco. Egli ci mostra una Medea che affronta inerme il mistero del
male, non più fatto che aggredisce dall’esterno la ragione, ma parte dell’essere
umano. Medea è consapevole di lottare non contro un daimon, ma contro il proprio
io irrazionale, il thumos, e domanda pietà a quell’io. Ma visto che gli impulsi
dell’azione sono nascosti nel thumos, dove né la ragione né la pietà possono
raggiungerli afferma:
So quale male sto per compiere, ma il thumos è più forte delle mie decisioni, il
thumos, radice delle peggiori azioni dell’uomo”. Qui Doods denota la sua suprema
tragicità, che il pubblico ateniese non riesce ad apprezzare e accettare: ”Medea
infatti non soffre di socratiche illusioni di prospettiva; la sua aritmetica morale è
senza errori, né commette l’errore di confondere la propria passione con uno spirito
maligno. Sta in questa la suprema tragicità.”
 

MEDEA DI SENECA

Durante gli ultimi anni dell’età dell’impero di Claudio, il filosofo Seneca fu chiamato
a corte per ricoprire l’oneroso incarico di formare il successore, il giovane Nerone
che venne educato dal maestro secondo i principi della dottrina stoica. Conobbe
l’arte tragica anche attraverso la messa in scena a corte di alcune tragedie ispirate a
Eschilo, Sofocle e Euripide. Da quest’ultimo Seneca riprenderà pari passo la trama di
Medea, tuttavia si riscontrano differenze abissali. Si passa da un’Atene democratica,
in cui uno dei doveri del cittadino era quello di partecipare agli agoni tragici, a una
Roma imperiale, in cui il teatro era diventato una sorte di strumento politico per
ottenere consenso da parte del popolo ignorante di recitationes che avvenivano
all’interno di una ristretta élite. Le tragedie senecane ammettono questo pubblico
elitario per raggiungere lo scopo di spaventare e mostrare le malvagità dell’animo
umano quando esso è sopraffatto dalle passioni e ambizioni di potere. Per seguire
questo intento Seneca, anche a livello scenografico, si esprimerà con un gusto anticlassico
e barocco, non eliderà per esempio la scena sanguinosa e violenta
dell’omicidio di Glauce e dei suoi figli per coinvolgere lo spettatore nell’azione
tragica attraverso il processo della catarsi (cosicchè tutte le azioni ingiuste che
provochino mali non si verifichino nella realtà), ma le rappresenterà in piena luce
usando un linguaggio crudo e violento.
 
Medea, in questo caso ha una forte valenza educativa, il compito di un vero stoico.
Lo stoico infatti vede l’abbandono dell’animo umano alla nostra parte più passionale
come un grave danno e pericolo per la salvaguardia del mos maiorum. Tra gli stoici
anche Crisippo prenderà come esempio di topica filosofia della follia, la figura della
più famosa interpretazione di Medea vendicatrice.
Chi aderisce alla dottrina stoica viene denominato saggio, nel senso di estraneo a
ogni tipo di distrazione e impulsi passionali, che portano a un’alterazione psichica
dell’animo e ad un’alienazione mentale che provoca un capovolgimento del
rapporto tra l’individuo e la realtà, il giusto e la morale verso uno stato di follia. La
follia viene vista dai saggi come una malattia dell’animo contaminata dalle ambizioni
senza limiti della volontà umana. Cercano di aiutare coloro che ne sono affetti
inconsciamente e di evitare chi, secondo ragione, intraprendano questo caotico e
corrotto stile di vita. Secondo questa dottrina possiamo dedurre l’intento educativo
della Medea senecana, incarnazione della autodistruttiva e immorale dialettica tra
consapevolezza, spinta passionale e azione.
 
Tra le diverse tragedie superstiti dell’età classica, Seneca sceglie la Medea di
Euripide per un semplice motivo: Medea è una donna barbara e, essendo tale,
incarna il modello negativo, un insieme di disvalori, che ritengono lecito il
prevaricare dell’irrazionale sul razionale. Mentre Euripide crea la tragedia dentro
Medea, dando vita alle due sedi inconciliabili del suo animo, thumos e bouleumata,
in Seneca la tragicità della messa in scena diventa strumento critico nei confronti
dell’uomo che agisce scegliendo la strada della passionale vendetta. Così il nostro
rifiuterà la dottrina tragica del pathei mathos, conoscenza attraverso la sofferenza, e
porterà Medea in preda all’ira e al dolore che cede alla follia, giustificando la azione
colpevolizzando Giasone, che aveva compiuto un atto di tradimento nei suoi
confronti. Secondo lo stoicismo, quando il dolore diventa follia, questo stato
d’animo è caratterizzato dall’impetus. Ciò non porta il saggio a giustificare l’operato
della donna, poiché donna ragionevole che si lascia sopraffare da questo impetus,
impulso necessario per innescare l’atto di volere. Secondo quanto detto, a esso
precede sempre un giudizio dell’animo e il consenso della ragione, necessario per
innescare l’azione istintiva.
 
Ma una cosa Seneca mantiene per quanto riguarda la tradizione tragediografa, la
incompatibile dialettica di due sfere di pensiero, quella che segue la sapientia e
quella che segue la anti-sapientia. Da ciò si può desumere una ripresa dello scontro
tra logos e fusis, o meglio tra ratio e furor, in cui nel dialogo tra la nutrice (la
sapientia) e la protagonista (l’anti-sapientia) la donna accecata dal furor diventa
incapace di carpere consilium e agire consapevolmente secondo quell’ira desiderosa
di un’atroce vendetta. Su questo sfondo filosofico e pedagogico, possiamo scorgere
una voce poetica caratterizzata da un velo pessimista che condanna l’intera
condizione umana a rimanere succube dell’irrazionalità e di una realtà
irrimediabilmente caotica.
 

SONS AND LOVERS
 
Medea vendicates her woman’s essence by killing her motherhood. She commits
infanticide in this way, while Lawrence’s mother and her alter ego, Mrs. Morel in Sons
and Lovers, kill their sons’ spirit by giving them too much love.
David Herbert Lawrence was born in Eastwood, a mining village in Nottinghamshire,
in 1885. His father was a miner who fell in love with a woman of a higher class, Lydia
Beardsall. The happiness of their marriage was short and Lydia became dissatisfied
with her husband, who had turned into a heavy drinker. She was also determined to
prevent David from following his father into the mines. Lawrence studied hard and
succeeded in winning scholarship to Nottingham High School. At the age of sixteen he
became a clerk I a factory, but a bad attack of pneumonia forced him to leave this job;
he then studied at Nottingham University College and qualified as a teacher in 1908.
In this period produced his first free verse poems echoing Whitman and started his
first novel The White Peacock, the sign of his intention to abandon teaching for
literature, and of his growing interest in exploring failed relationship between men
and women, parents and children.
When his brother died, Lawrence became the centre of his mother’s emotional life.
The story of their love is told in the autobiographical novel, Sons and Lovers (1913).
This incestuous love was born because his mother wasn’t appreciated by her
husband, engaged with his stressful work and spending his free time drinking. This
aspect of his life feeds Lawrence’s obsession with sexuality, sensual passions;
according to him we can save the humanity only through these sentiments:”My great
religion is a belief in the blood, the flesh, as being wiser than intellect. We can go
wrong in our minds. But hat blood feels and believes and says is always true.”
This induces our writer to criticize the new English society, born after the Industrial
Revolution and characterized by the new middle-class values. In fact this period gave
importance to mechanical and pragmatical progress, leaving aside emotional and
intellectual characteristic.
When Lawrence’s mother was still alive, he didn’t form any satisfactory relationship
with a woman. Only after her death he was able marry a woman, the German Freida
Richthofen. During the war years Freida’s nationality was openly criticized by public
opinion and Lawrence was even suspected of being a spy. The experience of the war
was thus shocking to him, even if he didn’t fight, that he come to see the forces of
modern civilization as purely destructive. After the war he left England as soon as
possible and started travelling throughout the world: Italy, Australia, Switzerland,
Mexico. In these travelling years he wrote a several number of novels that were
banned by the censors, one of the most famous was Lady Chatterley’s Lover, written
in1928.
Sons and Lovers seems like a mirror of his own life. In fact it was described as
autobiographical and it was influenced a lot by the new theory of Freud’s sexuality,
based on the tragedy Oedipus King. The protagonist, Paul, represents Lawrence
himself, while Mr. and Mrs. Morel embody his parents. Both Paul and Lawrence are
affected by Oedipus complex: Paul has a bad relationship with his father to such a
point that he fantasizes about his death, and at the same time he’s deeply attached
to his mother. Like Lawrence, who couldn’t create any relationship during his
mother’s life, Paul is unable to sustain a fulfilling bond with any woman. The problem
is his mother’s strong obsession, becoming jealousy of Paul’s lovers. In fact he rejects
Miriam, his first love, because Mrs. Morel must remain a housewife for life, while the
young woman has the opportunities to utilize her intellect. Miriam embodies the new
heroine of Lawrence’s life, the suffragette, who fights for their rights. The author was
a supporter of these strong women, in fact in all these novels he left a big place to
heroines.
After the romance with Miriam, he has an affair with Clara, who seems Freida’s alter
ego, because she came from a marriage and she is a mother of three children too.
These two kind of love are very different: Miriam represents the mind and spiritual
love, while Clara represents the opposite aspect, the body and the sexual attraction.
Paul was more attracted by of Clara’s sensual personality and he will have a sexual
relation because she is a failed maternal substitute of Paul, while he isn’t able to have
any kind of sexual attraction and relation with Miriam because she is too similar to
his mother and at the consequence he doesn’t want create an incestuous rapport.
Paul looked into Miriam’s eyes. She was pale and expectant with wonder, her lips
were parted, and her dark eyes lay open to him. Hi look seemed to travel down into
her. He turned aside, as if pained. He turned to the bush.”(Chapter 7).
At the end, at his mother’s death, Paul decides to shake off this past. This can be
considered a spiritual revival of both Paul and Lawrence.

 
 
 
 
 
 

LA LUNGA NOTTE DI MEDEA INNAMORATA

 
 
Νὺξ μὲν ἔπειτ' ἐπὶ γαῖαν ἄγεν κνέφας οἱδ' ἐνὶ πόντῳ

ναυτίλοι εἰςἙλίκην τε καὶ ἀστέρας Ὠρίωνος745
ἔδρακον ἐκ νηῶν, ὕπνοιο δὲ καί τις ὁδίτης

ἤδη καὶ πυλαωρὸς ἐέλδετο, καί τινα παίδων
μητέρα τεθνεώτων ἀδινὸν περὶκῶμ' ἐκάλυπτεν,
οὐδὲ κυνῶν ὑλακὴ ἔτ' ἀνὰ πτόλιν, οὐ θρόος ἦεν
ἠχήεις, σιγὴ δὲ μελαινομένην ἔχεν ὄρφνην・ 750
ἀλλὰ μάλ' οὐ Μήδειαν ἐπὶ γλυκερὸς λάβεν ὕπνος.
πολλὰ γὰρ Αἰσονίδαο πόθῳ μελεδήματ' ἔγειρεν


 
Siamo in piena età ellenistica quando Apollonio Rodio, poeta che opera nella
biblioteca di Alessandria, si cimenta nella stesura del suo poema epico, Le
Argonautiche, applicando ad esso i nuovi canoni letterari propri dell’epoca. Il poema
si articola in soli quattro libri secondo il principio della brevitas. Ma questi quattro libri
sono ampiamente arricchiti da numerose ekphraseis che rendono difficile al lettore
seguire il filo narrativo. La novità del nostro autore, che non tutti hanno apprezzato
(tra questi il contemporaneo Callimaco), sta nel dare rilevanza al gusto eziologico di
excursus e sottigliezze letterarie rispetto allo svolgimento lineare e monotono dei
fatti.
I versi, sopra riportati, marcano l’inizio di una notte lunga e apparentemente infinita
di un’ingenua ragazza, Medea, colpita dall’amore a prima vista.
La Medea di Apollonio Rodio è una fanciulla semplice, attratta da ciò che era finora
rimasto nascosto e straniero. Infatti la diversità del protagonista Giasone sta nel suo
essere cittadino di una parte del mondo, la Grecia, sconosciuta alla piccola Medea.
Così Apollonio Rodio per colpire l’attenzione del lettore e creare un’atmosfera di
pathos lascia in disparte la narrazione e mette in primo piano la psicologia evolutiva
della fanciulla davanti a un nuovo sentimento che prima d’ora non aveva mai provato,
l’attrazione amorosa. Così, esibendo la sua capacità di immedesimarsi nell’animo di
una fanciulla, Apollonio, delinea in una tranquilla e silenziosa notte la psicologia della
ragazza in preda allo scontro tragico tra l’aidos e l’imeros. Emulando i temi della
tragedia classica, Apollonio Rodio propone di nuovo questo scontro nella sequenza di
ben tre monologhi interiori, i quali assumono, mano a mano, più intensità.
Diversamente dal monologo interiore della Medea euripidea, l’alessandrino conclude
questo scontro con l’emergere della passione nel cuore della giovane donna, passione
determinata in ultima istanza, da una volontà divina e non da una libera scelta. Così,
in questo caso, la protagonista risulta vittima, figura profondamente tragica,
inconsapevole dell’impossibilità dell’essere umano a autodeterminare il proprio
destino.
In questa circostanza l’aidos rappresenterebbe il logos, ovvero quel lecito sentimento
nei riguardi della famiglia e patria, mentre l’imeros quel desiderio amoroso e
bruciante di passione per Giasone.
Tale scontro tragico viene collocato dall’autore durante una notte silenziosa, antitesi
tra la sua tranquillità e il tormentato animo della fanciulla, che deve prendere una
decisione. All’inizio Medea vede nel suicidio l’unica via d’uscita, ma questo terribile
atto viene represso, poiché rimarrà in vita di lei una idea negativa condannata a vivere
per l’eternità. Ma durante la notte, lo stato d’animo di Medea prende altre sembianze
e matura la donna che è in lei, pronta a tutto per seguire il suo Giasone, la sua curiosità
e la sua voglia di dare una svolta alla sua vita, guardandola con occhi nuovi. Questo
esito, al primo impatto, sembra più che eccitante, ma porterà grandi dolori, visto che
aiuterà attivamente Giasone nel recupero del vello d’oro (necessario per spodestare
suo zio dal trono di Corinto, da lui lecitamente atteso); ella dovrà ripudiare e tradire
famiglia e patria che amorosamente l’hanno allevata e curata. Le due scelte, che le si
presentano, lasciarsi alle spalle tutto il suo passato o rimanere in patria, sono
entrambe dolorose. Il lacerante dramma notturno di Medea verrà posteriormente
ripreso, divenendo così un topos letterario, da Virgilio fino a Manzoni. Mentre la
Didone di Virgilio sceglie il suicidio a causa della sofferenza amorosa per Enea (“Muori,
piuttosto lo meriti, e allontana il dolore con il ferro”), Manzoni sembra emulare alla
perfezione il passo del nostro alessandrino. Infatti la lunga notte dell’Innominato è
caratterizzata dapprima da un intento di suicidio, ma fermato dalle stesse
considerazione poste dalla stessa Medea, prende la decisione di cambiare e volgere
lo scopo della sua vita ad aiutare gli umili e combattere i prepotenti. In entrambi i
personaggi la fine della notte d’angoscia è contraddistinta da una spasmodica attesa
dell’alba, che deve realizzare, con il nuovo giorno, i propositi finalmente abbracciati.


 

MEDEA “PORTATRICE DI CONSIGLIO”
 
 



 

 

Christa Wolf nasce nel 1929 in una città della Germania orientale dove vive un doppio
tragico evento: la condizione di suddita sotto il regime hitleriano e la disperata fuga
dai territori del Terzo Reich di fronte all’avanzata dell’esercito sovietico.
Dopo la seconda guerra mondiale si laurea in germanistica (letteratura tedesca) all’Università di Jena e si sposa, negli anni ’50, con lo scrittore Gerhard Wolf. Nel 1962 lavora come critica
letteraria per la rivista dell’Unione degli Scrittori della Ddr. Raggiunge la notorietà
con il romanzo Il cielo diviso (1963) grazie al quale le viene assegnato il premio
Heinrich Mann. Nel 1964 del romanzo viene fa a una riduzione cinematografica dal
regista Konrad Wolf, ma i toni più alti, efficaci e appassionati li raggiunge nelle sue
due rivisitazioni dei miti classici greci, Cassandra (1983) e Medea.Voci (1996).
Christa Wolf approfondisce e ripensa con sguardo non tanto femminista quanto
femminile due tragiche figure di donne, sottraendole al mausoleo letterario e
restituendo loro corpo e voce.
Con il riconoscimento della Ddr, la Wolf aderisce in modo entusiatico al credo
socialista collaborando con la Stasi negli anni ’50, sostenitrice così accanita da non
seguire il suo compagno Manfred a Berlino Ovest, convinta che l’unica possibilità di
realizzazione personale sia all’interno di una società di stampo socialista. Con il 1965
la sua posizione si fa meno netta. Anche se continua a seguire le linee della Ddr per
la creazione di una società giusta, sente di non aderire completamente alle idee
politiche della Germania dell’Est. Diventa così invisa al Partito, sospetta, calunniata e
spiata. Nonostante tutto decide di non abbandonare la Ddr, pur avendone le
possibilità. Christa viene duramente crticata dalla stampa occidentale e la sua fama
peggiora con il suo “appello ai cittadini”, riuniti ad Alexanderplatz il 4 novembre
1989, a non rinunciare al sogno socialista.
Una vita dunque di continua tensione tra utopia e dolorosa accettazione della realtà.
La vita di un’apolide che sente di non appartenere né all’una né all’altra parte,
proprio come le sue Cassandra e Medea.
Medea, analogamente alla sua autrice, fugge dalla sua Colchide rifiutando le
antichissime e violente origine (il sacrificio di suo fratello, Apsirto ucciso dal proprio
padre) ma, giunta a Corinto, trova un mondo altrettanto violento.
L’autrice è colpita dall’antitesi tra l’etimologia del nome Medea, “colei che porta
consiglio”, e la vicenda disumana della quale è protagonista. La Medea della Wolf è
una donna indipendente, emancipata e legata al culto, estraneo a Giasone e ai suoi
concittadini, del “sapere del corpo e della terra”. La sua andatura, il suo
atteggiamento e le sue qualità di maga colpiscono gli abitanti di Corinto, apparendo
ai loro occhi una figura selvatica mentre agli occhi di Medea le donne corinzie
appaiono come animali domestici ammaestrati.
Grazie al suo sguardo sulla realtà legata ai misteri della natura, la barbara risale alle
radici del potere patriarcale, contaminato dal sangue innocente della primogenita di
Creonte e erede al trono, Ifinoe.
Diventa così un personaggio scomodo per questa società. Come toglierla di mezzo?
Con la lapidazione dei suoi figli da parte degli abitanti che sono alla ricerca spietata
di un capro espiatorio, causa della peste che stava affliggendo tutta la città.
In questa reinterpretazione Medea non rientra per niente negli stereotipi misogini
creata da Euripide,”Quando una donna viene offesa nel suo letto, non c’è altra
mente che sia più sanguinaria” capace di distruggere la famiglia, unica sfera di
controllo femminile.
Dopo l’uccisione dei figli, il gesto peggiore che una madre possa compiere, e la sua
conseguente emarginazione da parte di Corinto, Medea, proprio come la Wolf, non
fugge, ma, isolata in un paese straniero, raccoglie quel poco che le è rimasto con cui
riuscirà a crearsi una nuova vita.
Ciò delinea una Medea moderna che è cosciente delle proprie capacità che, anziché
lamentarsi della propria condizione di donna, “Fra quante creature han senso e
spirito, noi donne siam di tutte le più misere”, riconosce che l’oppressione deriva dal
sistema politico, patriarcale e capitalistico, dal quale cerca di liberare non solo se
stessa, ma anche l’intera società.
La Wolf racconta la vicenda attraverso sei punti di vista, tre di donne (Medea,
Agameda, Glauce) e tre di uomini (Giasone, Acamante, Leuco). Attraverso questa
tecnica narrativa si difende dalle critiche di essere un’accanita femminista che
auspica un ritorno di un matriarcato: “No, per l’amor di Dio! Un matriarcato
concepito come dominio femminile non è forse nemmeno mai esistito e comunque
un ritorno a rapporti così arcaici e indifferenziati è impensabile. Possiamo solo
tentare di procedere tenendo presente la nostra millenaria esperienza. È sempre più
evidente che solo l’interazione degli sguardi, maschile e femminile, può mediare
un’immagine corretta del mondo. Un mondo che deve essere plasmato da uomini e
donne in modo paritario, seconda del loro specifico punto di vista. Questo
condurrebbe a priorità ben diverse da quelle che attualmente ci condizionano. Ad
altre gerarchie di valori. Ma da tutto questo siamo ancora distanti anni luce”.

 
BIBLIOGRAFIA

• Antonietta Porro, Walter Lapini, Francesca Razzetti, Letteratura greca Storia,
autori, testi : l’età classica, Ed. Loescher.
• W. Lapini, Persecuzione rivincita nelle eroine del teatro greco, in M. Chiabò –
F. Doglio (edd.), Romanzesche avventure di donne perseguitate nei drammi fra
Quattro e Cinquecento, Atti del XVIII Convegno Internazionale del Centro Studi
sul Teatro Medievale e Rinascimentale, Torre d’Orfeo, Roma 2005.
• Eric R. Doods, I greci e l’irrazionalità, Ed. Bur Rizzoli.
• Pasquale Martino, Pagina nostra, Storia e antologia della letteratura latina:
l’età imperiale, Casa editrice G. D’Anna, Messina-Firenze.
• Giunio Rizzelli, Diritto e teatro in Grecia e a Roma, a cura di Eva Cantarella e
Lorenzo Gagliardi: Dinamiche passionali e responsabilità. La Medea di Seneca,
Ed. LED.
• Marina Spiazzi, Marina Tavella, Only Connect… New direc on: from the Early
Roman c Age to the Present Age, Ed. Zanichelli.
• Antonietta Porro, Walter Lapini, Francesca Razzetti, Letteratura greca Storia,
autori, testi : da Platone all’ età tardoantica, Ed. Loescher.
• Christa Wolf, Medea. Voci: postfazione di Anna Chiarloni, Ed. Tascabili


 
SITOGRAFIA


 

 

domenica 25 gennaio 2015

"Geo and Company" - Nuovi fumetti per bambini firmati Panaro-Gatto. Recensione di Fiorella Fiorenzoni

 
 
 
Geo and Company
Nuovi fumetti per bambini
firmati Panaro-Gatto
Parlando di, “fumetti” ci si riferisce a quel genere di “letteratura disegnata” (H. Pratt) che, facendo uso di canoni etici ed estetici, definisce il fumetto come mezzo di comunicazione e, in altri termini, come opera narrativa. Questa “arte sequenziale” (W. Eisner) è costituita da un linguaggio a più codici tra cui, principalmente, il testo e le immagini che, così combinate, generano l’armonia narrativa. L’espressione “fumetto” si riferisce in senso proprio al significato di “balloon”, “nuvoletta” o sbuffo di “fumo” e viene utilizzata per riportare i dialoghi dei personaggi. In questo senso, per me, il concetto di “fumetto” si riconduce soprattutto alle mitiche storie dei personaggi della Walt Disney, da Topolino a Paperino e a zio Paperone per nominare solo le figure principali che, da generazioni, accompagnano le giornate di tanti ragazzini e non solo!
Chi di noi, infatti, non ha mai letto dei fumetti come quelli del simpatico Mickey Mouse in vita sua, alzi la mano!
Tra i grandi autori e pilastri della Disney italiana come non pensare al grande Maestro Luciano Gatto che, di recente, insieme ad un altro illustre nome della Disney, lo sceneggiatore Carlo Panaro, ha creato alcune nuove serie di fumetti per bambini e per ragazzi.
Così oggi, accanto alle tantissime storie di paperi e topi disneyani, che si confrontano con la vita quotidiana, abbiamo il piacere di conoscere dei nuovi fantastici personaggi come quelli che popolano il Mondo di Geo, nuove figure “geometriche”, simpatici solidi animati, come le sfere Celestino e la sua fidanzata Lilla, Indro, un cilindro che veste i panni di un ladro “gentiluomo” , inoltre Piro, il distratto amico di Celestino dalla inconfondibile forma a piramide, e molti altri ancora.
Questo è dunque un fantastico modo per imparare anche la geometria solida, divertendosi a leggere delle favolose avventure.
Altrettanto originali sono le storie di “Desi & Deri”, due ragazzi particolari che hanno il potere di esaudire tutti i “desideri” buoni e molte altre serie ancora che stanno catturando l’attenzione dei giovani lettori, anche grazie alle loro anteprime via web, riscuotendo sempre più successo.
Gli autori, Panaro e Gatto, hanno quindi pensato di ringraziare i numerosissimi fans, realizzando un giornalino, “Geo and Company” che, oltre ai fumetti, offre anche una serie di giochi, disegni da colorare, filastrocche e altro ancora.
Visto il successo online del giornalino, è stata data a tutti la possibilità di partecipare ad un concorso e di poterne ottenere una preziosa copia cartacea, con il nome del corrispettivo vincitore in copertina.
Riceverne una copia con dedica ed autografo è davvero un grande onore ed un piacere per bambini e genitori!
Ora non ci resta altro che augurarci di poter continuare a leggere, in una prossima edizione, i favolosi fumetti di questi grandi autori, Carlo Panaro e Luciano Gatto, che ringraziamo di cuore per il loro fantastico lavoro.
Fiorella Fiorenzoni